La copertina della prima edizione di Cathay |
Il primo aprile 1977 compariva su The Times Literary Supplement, in traduzione inglese, un articolo di Gianfranco Contini su Ezra Pound, che così recitava:
Il punto dolente è proprio questo: uno scrittore che è stato un traduttore principe, non soltanto dalle quasi per tutti inverificabili lingue dell'Estremo Oriente, ma da territorî familiari, quale che fosse la sua comprensione della lettera (basti citare come esempio minimo la parafrasi del finale di Inferno XXVIII in Near Perigod), non è poeticamente fruibile in traduzioni italiane. Non certo che le versioni manchino, basti menzionare a titolo di lode, a parte quelle della figlia esegeticamente capitali, il fedelissimo Alfredo Rizzardi e l'impegnato Giovanni Giudici. Ma troppi, anche di firme celebrate, si sono cimentati alla spicciolata con Pound per omaggio e come per una sorta di gioco di società. . . . Non esito a dire che [queste tentazioni approssimative] o distorcono la lettera o lasciano svaporare la poesia. («Ezra Pound e l'Italia», in Ultimi elzeviri ed esercizî, Einaudi, Torino 1989, pp. 267-268).