26 maggio 2019

«Europa cristiana: un falso storico» di Giovanni Sias



Dalla nascita dell’Unione Europea non si è perso tempo a ricordare, ribadire, insistere e infine decretare le radici cristiane dell’Europa. Ancora l’altro giorno, l’8 maggio 2019, sul Corriere della Sera il cardinale Bruno Forte richiamava il senso cristiano delle radici europee, e avverte che «il futuro dell’Europa non può prescindere dalle sue radici etiche e spirituali, le sole a poter alimentare una rinnovata passione morale e un impegno condiviso». Parole di verità, non ho dubbi, parole vere perché oneste nei confronti degli europei (che sono ancora “da fare”). 

Ma… il luogo da cui queste parole vere originano, il loro presupposto, è falso. Perché è un falso storico che l’Europa sia «cristiana». E se noi ci prendessimo la briga di mettere in intreccio e in tensione i processi storici con la teoria freudiana coglieremmo immediatamente sia la falsità della proposizione quanto la sua pretesa tutta ideologica di indirizzare la cultura europea in un’unica direzione: quella del potere ideologico del Cattolicesimo medievale esteso alle coscienze degli europei contemporanei.

L’Europa è un luogo del Mediterraneo, ma il Mediterraneo è un luogo dai confini incerti. Chi lo vuole stretto fra i Dardanelli e le Colonne d’Ercole vive in un’economia organicistica senza avvertire l’estensione dell’apparato psichico. L’organicismo risponde così alla logica religiosa del discorso, che ha spartito e diviso il Mediterraneo lungo tre punti cardinali: la Croce, il Muro (del pianto) e la Kaʿba (la pietra nera) ciascuno in conflitto con gli altri. Manca il quarto punto, il più importante, quello relativo al linguaggio e dunque insituabile, incollocabile in una qualsiasi spazializzazione o riduzione del Mediterraneo a una ideologia, a un rituale o a una nazione che sono i tre punti ordinali della religione. La distanza fra la mitologia e la religione è molto breve, la distanza che la religione pone sulla visione del mondo invece è infinitamente grande: favola l’una, Verità l’altra, senz’accorgersi della verità della favola né dei vaniloqui che si scambiano di posto con la verità.

Nell’ordine del linguaggio, quell’ordine che la psicanalisi indica in una topologia attraverso cui è possibile tracciare una geografia delle regioni dello psichico, il Mediterraneo si estende, a Oriente, almeno fino a Bagdad. E ci fu un tempo in cui, nella sua estensione, non aveva confini.

Sul piano dello psichico come su quello della storia ritroviamo il tempo in cui nacque un’altra Europa che non era quella cristiana romana e dei suoi confini tracciati da quella spada diventata per i cattolici il simulacro della croce: un tempo del linguaggio. E la sua esperienza nasce proprio in Spagna. Ma non solo, perché nella sua insituabilità, quell’esperienza di linguaggio ha pervaso il Mediterraneo.

Alfonso X di Castiglia il Savio, nel XIII secolo, costituì dei collegi di traduttori dall’arabo, dall’ebraico e dal greco. Vennero tradotte centinaia di opere filosofiche, matematiche, naturalistiche, astronomiche, anatomiche, mediche, alchemiche e tutto quanto concerneva la conoscenza da Platone e Aristotele fino a quel tempo. Quelle traduzioni si diffusero in tutta l’Europa, dall’università di Parigi a quella di Colonia, da quella di Oxford a quella di Bologna. E in Spagna si moltiplicarono i «collegi» dei traduttori, da Toledo a Siviglia, a Barcellona.

In quegli anni Ruggero Bacone, il doctor mirabilis, accusato e condannato per stregoneria dai suoi stessi confratelli (francescani), fondatore del metodo empirico, scriveva che nessuno poteva dirsi scienziato se non conosceva la lingua araba.

Ma quella di Alfonso di Castiglia non era un’esperienza nuova. Un secolo prima, in Sicilia, vi fu la più grande fioritura dell’arte e della cultura sotto il regno dell’imperatore Federico II. Poeti e sapienti arabi, ebrei, greci e latini composero, scrissero e tradussero. La grande esperienza della poesia in Sicilia diede la prima forma della lingua italiana. E con la poesia si rinnovò anche il diritto, la matematica e la filosofia. 

Ma anche in questo caso l’esperienza non era nuova perché Federico II, l’anticristo secondo il giudizio di papa Gregorio IX, sposò Costanza d’Aragona che dalla Spagna portò l’uso della sua corte, la sua intelligenza e la sua gaiezza, e anche i poeti provenzali. 

Così, sempre a ritroso, troviamo la Scuola medica di Salerno che qualcuno vuole fondata già nel IX secolo e che una leggenda racconta essere stata istituita da quattro medici: l’arabo Adela, l’ebreo Helinus, il greco Pontus e il latino Salernus; anche presso la scuola salernitana la grande attività fu la traduzione da una lingua all’altra delle opere mediche contemporanee e dell’antichità. Queste traduzioni raggiunsero Montpellier e Parigi dove si fondarono le importanti e celebri scuole mediche di Francia. 

Ma prima ancora, e siamo giunti all’origine storica di questa avventura, troviamo l’importante centro di traduzioni del califfato di Cordova dove lavoravano, a tempo pieno, stipendiati dal califfo, 200 traduttori. E durante l’espansione araba a Nord della Spagna, per quel poco che ci restarono, nell’VIII secolo nacquero e si svilupparono i poeti provenzali sotto l’influsso di quelli arabi di Andalusia, quegli stessi provenzali (i trobadores) che Costanza d’Aragona portò poi in Sicilia.

Tutto questo movimento intellettuale durò alcuni secoli, fra l’VIII e il XIII, fino a quando la Chiesa cattolica non soffocò tutto sotto il suo potere, attraverso la violenza delle Crociate, e in particolare in quella che papa Gregorio organizzò contro Federico II. 

Altrimenti, dove sarebbe arrivata la poesia, la matematica, la scienza, la scrittura e la traduzione? Dove sarebbe arrivata quell’Europa che metteva in dubbio il potere temporale dei papi? Bacone non fu il solo a restare in prigione per più di dieci anni in seguito ai suoi studi sull’alchimia araba.

* * *

Questa è storia veloce, alcuni spunti, che nei nostri tempi sarebbe doveroso riprendere: riappropriarcene. Ma qui, ora, è servita a trovare quel quarto punto d’orientamento che abbiamo detto essere insituabile perché esiste nel linguaggio e che orienta il Mediterraneo nella lingua. 

Il Mediterraneo non è cristiano. E l’Europa non è la cristianità, come hanno voluto, e vogliono, certi filosofi e i teologi. O almeno, sono cristiani quel Mediterraneo e quell’Europa che si sono chiusi in difesa dietro le resistenze del potere. È l’Europa germanica e italiana del Sacro Romano Impero. È l’Europa che traccia i confini! L’Europa fondata sulle nazioni. Ma nella lingua scritta l’Europa e il Mediterraneo sono greco, ebraico, arabo e latino. È l’Europa nata in Spagna e in Sicilia. L’Europa nata dalla traduzione. E Freud ci ha insegnato a vedere, in ogni atto psichico, ciò che è implicato nella traduzione, e cioè una trasposizione che «comporta una nuova fissazione» ovvero una seconda trascrizione di una rappresentazione (L’inconscio, 1915). 

La traduzione ha comportato la fine dell’uso della lingua latina. Quei traduttori che traducevano l’arabo, il greco e l’ebraico in latino hanno di fatto creato le prime lingue che costituiranno l’Europa, il castigliano e il catalano, il provenzale e il siciliano. Perché il latino, diventato troppo rigido, non era più in grado di soddisfare le esigenze linguistiche di rappresentazione, e cioè quella nuova organizzazione dell’immaginario che veniva formandosi, soprattutto a opera della poesia e della matematica, nell’incontro delle lingue e dei linguaggi. Così come la latinità nasceva dalla traduzione in latino dell’Odissea per opera di Livio Andronico, l’Europa nasceva dalle traduzioni di quattro lingue e di quattro alfabeti differenti. Le nuove lingue aprivano un’altra via della sessualità: la «nuova fissazione» di una trascrizione, che si apriva sulla rappresentazione angelica della donna, di matrice araba e musulmana, che i trovatori cristiani di Provenza prima e i siciliani poi cantarono nella loro poesia, avviava la dissoluzione del Sacro Romano Impero e del potere totalitario della religione sulle coscienze.

La traduzione, così intesa, è la questione principe della clinica psicanalitica ed è la possibilità stessa dell’esistenza della psicanalisi. In questo senso la psicanalisi è, e può solo essere, mediterranea.

Si tratta così, e principalmente, d’intendere che siamo europei perché raccogliamo (già nella formazione delle nostre lingue) l’eredità di una pratica di linguaggio che non è religiosa, ovvero che non si orienta solo ed esclusivamente a partire dai tre punti cardinali e ordinali che abbiamo ricordato, ma che li riorienta nel linguaggio a partire dalla traduzione. E questo implica per ciascuno di noi la necessità di riorientare il proprio linguaggio nel lavoro costante di una «traduzione», esattamente come avviene per il nostro pensiero e il nostro linguaggio, che si costituiscono e si modificano nell’incontro con il linguaggio dell’altro, con l’altra lingua, con la sua accoglienza nella traduzione, e dunque con il suo ascolto. Il rimando a Freud, qui, è doveroso, in quanto è questo il senso ultimo e più alto di ciò che viene chiamato «clinica psicanalitica».

Il caso, oggi, alla vigilia delle elezioni europee, ci sta ponendo alcune domande: nella fattispecie il caso ci viene proposto dalla violenza del reale. Un reale che sta restituendo ciò che l’Europa ha espunto dal linguaggio, con la pervicacia della violenza religiosa conosciuta in quel tempo in cui la Chiesa romana distrusse ogni futuro di un’Europa della cultura, della civiltà, della convivenza.

Quando il reale rigetta – con reazione così violenta come quelle della nostra contemporaneità (le violenze islamiche non meno di quelle dei potenti d’Occidente nei confronti dei diseredati della terra) – ciò che è stato espulso dal linguaggio con pari violenza in un altro tempo della storia, le cose non possono più restare come prima. 

È vero che in l’Italia, come in alcuni altri paesi europei, ciò che si svolse nella tragedia si presenta oggi nella sua replicazione in farsa, grottesca e tragicomica; ma questo, come la cronaca ci mostra, non impedisce una drammaticità delirante: sempre dramma è.

Può ancora esistere, oggi, tanto per la psicanalisi (contro cui, in Europa, si sta operando con pari violenza cercando di espungerla dal linguaggio in favore delle molteplici e commerciali psicoterapie), quanto per quegli uomini di cultura non usi a genuflessioni verso il potere, un luogo in cui si opera il lavoro di traduzione? Vale a dire quel «lavoro di civiltà» che Freud indicava a motivo dell’esistenza della psicanalisi, della scienza e della cultura. La domanda è retorica essendo questo luogo il linguaggio. E il Mediterraneo è una metafora del linguaggio. 

Come esserne i suoi abitanti? Questa domanda non è più retorica, riguarda il destino dei popoli europei, di quel lavoro d’interpretazione, di articolazione e di elaborazione di una presenza.


(Maggio 2019) 


1 commento:


  1. Molto interessante e colto. Provocatorio nel senso che invita a pensare al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni. Contrapporre la geografia della psiche a quella del potere mi sembra una buona prassi. Meno male che non è "l'ultimo saggio" dsell'Autore!

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