5 febbraio 2017

«Su Freud e Pirandello. Conversazione con Gabriele Pulli» di Doriano Fasoli


Gabriele Pulli è autore di diversi libri, che hanno toccato temi anche molto diversi fra loro ma con un unico filo conduttore che è la sua personale ricerca, con un’impronta specifica molto marcata. Da diversi anni insegna Psicologia filosofica e Psicologia dell’arte e della letteratura nei corsi di laurea triennale e magistrale di Filosofia all’Università di Salerno. E a queste discipline si possono ricondurre due suoi brevi ma intensi libri usciti recentemente: Il brivido dell’eterno. Su Pirandello e Freud (Clinamen, Firenze 2016) e Freud e l’enigma della negazione (Alpes, Roma 2017).

Doriano Fasoli: Partiamo dal primo: Perché questo titolo? E perché questo libro?

Gabriele Pulli: Mi è sembrato che nei Sei personaggi in cerca d’autore fosse racchiuso qualcosa di più profondo di quel dramma dell’identità che viene generalmente rilevato, quello per cui non siamo uno ma tanti, e diversi, «diversissimi», a seconda delle diverse persone con cui entriamo in rapporto, «“uno” con questo, “uno” con quello», dice Pirandello. Mi è sembrato persino che ciò in se stesso non fosse neanche un dramma e che lo diventasse solo alla luce di questa dimensione più profonda. Pirandello definisce l’opera d’arte come qualcosa che «vive per sempre» e definisce la fantasia che dà luogo all’opera d’arte come ciò di cui si serve la natura «per proseguire, più alta, la sua opera di creazione». Per la fantasia dunque, intesa appunto come un più elevato ordine di realtà, tutto è eterno. Ma se tutto è eterno è eterno anche il dolore. I sei personaggi infatti incarnano ciascuno una variazione sul tema del dolore. Dal testo emerge dunque come il percorso verso un’eternità che possa essere solo desiderata, in quanto salvezza dall’angoscia dell’annullamento, s’imbatta nell’ostacolo di un’eternità che può essere solo temuta, in quanto eternità del dolore. Dunque una cupa negatività su un cammino luminoso. Mi è sembrato che la vita più intima del dramma pirandelliano fosse qui. E la scelta del titolo – per rispondere alla prima parte della sua domanda – è derivata appunto da quest’idea. Rivolgendosi al capocomico, il padre osserva come la realtà dei sei personaggi sia immutabile e come a causa di ciò l’accostarsi a loro dovrebbe provocare un brivido. Se il capocomico avesse veramente capito, se avesse intuito la natura dei sei personaggi, dinanzi a loro avrebbe avuto un brivido: appunto il brivido dell’eterno.

Lei dice che nei Sei personaggi si può individuare qualcosa di più profondo del dramma dell’identità, ma il nesso fra l’opera di Pirandello e quella di Freud viene individuato in genere nella comune percezione della complessità del problema dell’identità. Come si presenta il nesso fra i due autori nel suo libro? 

Mi è sembrato che nell’opera di Freud ci fosse una tensione analoga a quella che ho appena cercato di descrivere a proposito dell’opera di Pirandello. Se in Pirandello per la fantasia tutto è eterno, in Freud per l’inconscio tutto è eterno. E se per Pirandello la fantasia dà luogo a un più elevato ordine di realtà, per Freud l’inconscio è la «vera realtà psichica». Ma questa eternità e atemporalità dell’inconscio è anche, soprattutto, la causa della patologia psichica. Ora, secondo la mia ricostruzione, ciò avviene in ultima analisi perché, anche in questo caso, se tutto è eterno è eterno anche il dolore. In tal modo mi è sembrato che si potesse comprendere qualcosa in più dell’enigmatico fenomeno della coazione a ripetere le esperienze spiacevoli, ma anche del fenomeno, che dev’essere considerato altrettanto enigmatico, della rimozione. 

Tutto questo percorso a quali conclusioni l’ha portato?

Nella conclusione del libro mi sono chiesto appunto cosa si possa fare: se sia preferibile rinunciare alla sfera dell’atemporalità per liberarsi dal dolore o rinunciare a liberarsi dal dolore per accedere alla sfera dell’atemporalità. E mi è sembrato di poter rispondere che queste due opposte prospettive si danno insieme contemporaneamente, al punto che ciascuna può avere un’efficacia e un valore – fino a corrispondere a una possibilità di cura della sofferenza psichica – in virtù della sua capacità di attivare contemporaneamente l’altra. Mi dispiace di non riuscire a essere più chiaro, ma mi è difficile rispondere sinteticamente.

L’altro, ancor più recente, libro Freud e l’enigma della negazione fa parte di uno stesso percorso. In che modo vi si inserisce? 

La coazione a ripetere e la stessa rimozione, che ho appena ricordato, implicano il tema del negativo, dunque della negazione. È un tema su cui mi sono soffermato in diverse circostanze. In questo libro lo faccio in un modo diverso, cioè dedicando l’intero testo al breve scritto freudiano del 1925 «La negazione». È uno scritto che è stato molto autorevolmente studiato, e definito di volta in volta oscuro, vertiginoso, stupefacente, enigmatico. Mi è sembrato che nonostante i contributi importanti acquisiti sin qui, ci fossero ancora dei nodi da sciogliere: che l’enigma fosse ancora lì. E ho cercato di proporne una soluzione. 

In che modo? 

Non mi è facile rispondere brevemente, e forse non lo sarebbe neanche se potessi soffermarmi più a lungo. Per dare un’idea posso dire che nella mia ricostruzione diventa centrale la distinzione fra non essere relativo e non essere assoluto. E, se posso, direi anche che tale distinzione non era mai stata utilizzata per chiarire i punti oscuri dello scritto di Freud. In realtà il testo freudiano è un po’ difficile, benché Freud rendesse facili le cose difficili invece di fare, come spesso avviene, il contrario. Per venire a capo di alcuni nodi, mi ci sono volute comunque diverse pagine, anche se non molte perché si tratta di un piccolo libro. Non saprei dire le cose che volevo dire ancora più sinteticamente di quanto abbia fatto nel libro. Forse posso aggiungere che è stato necessario inoltrarsi nel tema della ragion d’essere dell’inconscio, laddove il concetto di rimozione permette di rispondere solo parzialmente alla fondamentale domanda «perché l’inconscio?», «come mai esiste una vita psichica inconscia?» Lo scritto di Freud pone insomma delle domande fondamentali. E credo che continuerà a porle: che si potrebbe continuare a studiarlo all’infinito. E, a mio avviso, questo che ci mette dinanzi a questioni sempre aperte è il Freud più interessante: quello attuale per sempre.


(Febbraio 2017)





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