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13 maggio 2023

«Luciano Albanese legge di Doriano Fasoli» di Luciano Albanese

 

Doriano Fasoli. Foto di Roberto Canò. Roma 2019.


Il nuovo libro di Doriano FasoliFinestre sulla memoria (Alpes, Roma 2022, pp. XII-157), è in parte, come il precedente Derive, costellato dal ricordo di molte esperienze personali, in cui l’ispirazione poetica – poesie in prosa anche queste – avvolge il lettore, specie quello coetaneo dell’autore – in una nube di malinconica nostalgia per un tempo irrimediabilmente perduto. A questo ordine tematico appartengono, ad esempio, i ritratti di Giovanni Macchia ed Enrico Guaraldo, l’addio a Gianni Celati, i «Frammenti di un dialogo amoroso», i ricordi del Filmstudio a Via degli Orti d’Alibert, dove andavamo tutti alla fine degli anni ’60 (nessuno dimenticherà mai il grido «americani a casa!» – uno degli slogan del Movimento studentesco – lanciato dal fondo della sala da Massimiliano Fuksas, durante la proiezione di Lonesome Cowboys di Andy Warhol, alla vista dell’ennesima fellatio), Jeanne, o la contadina del Caso fortuito. E ancora, il lirismo di Sempre più solo e vintoGiornata di soleBreve nota sull’imbecillitàDue donne, e di quasi tutta l’intera sezione «Impressioni di orizzonti», di cui segnalo, in particolare, Parigio cara (pochi soldi, i libri trafugati e nascosti nel giubbotto, e la lunga sfilata di mostri sacri, Henry Miller e Céline in testa, che aveva vissuto nella mitica Parigi dell’immaginario europeo) e Al mattino, in cui sembra riecheggiare il finale del monologo di Molly nell’Ulisse di Joyce.

 

Ma, oltre a questo, dal libro emerge un tema cruciale per tutta la modernità: che cosa succede quando il sapere fallisce completamente i suoi scopi, e diventa solo erudizione? «Ho studiato filosofia, – diceva il Faust di Goethe in apertura della sua tragedia – medicina, teologia, da cima a fondo, e con tenace ardore, e mi ritrovo a saperne quanto sapevo prima. Anzi, ho finito per accorgermi che non ci è dato di sapere nulla di nulla». Lo scetticismo di Fasoli sul valore conoscitivo della cultura filosofica e scientifica prese nel loro insieme è abbastanza simile a quello di Faust, e questo si avverte già dalle prime pagine del libro, «La valle dell’ombra» e «Essere o non essere» (il famoso dilemma di Amleto), in cui svaniscono tre pietre angolari della nostra esistenza, Io, Dio e l’Essere. Doriano è un uomo di ampie letture, perché è un individuo curioso, nel senso più nobile del termine, e la sua conoscenza della cultura sia antica che moderna è molto vasta. Cominciando dal cogito ergo sum di Cartesio, le pagine di Finestre sulla memoria offrono al lettore una galleria di temi e di personaggi che non ha nulla da invidiare a quanto possiamo apprendere da una enciclopedia del sapere. Bertrand Russell, Heidegger guardiano dell’Essere, il topo di Schrödinger, la lettura manichea della vagina, il suicidio di van Gogh, Carmelo Bene e Artaud, Foucault in California nella Valle della Morte, col Marchese de Sade ideale compagno, le Baccanti di Euripide, il Concilio di Nicea, Gadda e Roscellino – sintomatico questo accoppiamento –, la difficoltà di scrivere usando parole che non ci appartengono, perché hanno già una loro storia (ancora Foucault), le oscure radici del sacrificio – tema comune, per motivi diversi, al Burkert di Homo necans e a Bataille –, Libertà e Necessità, Alice attraverso lo specchio letta da Lacan,  il mistero del corpo, della sua nascita e della sua morte, e quindi la sua costante esposizione al pericolo, la Rivoluzione scientifica che ci ha tragicamente “spiazzati” (il tema centrale di John Donne e del Controrinascimento), le tragedie di Euripide, etica e scienza, Aristotele e la babele delle lingue, sull’anima, le Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, le mosche, esseri tutt’altro che irrazionali (grazie ad esse è stato scoperto il principio di reafferenza), il Libro e la tela di Penelope, post coitum tristitiam, lo Stige e Caronte, l’ottuso moralismo del “politicamente corretto”, Deleuze, Spinoza e la tirannia, il daimon, fisici e filosofi, elogio dei sensi, la vecchiaia e il suo mistero, ultimo capitolo del più grande mistero di vivere. 

24 febbraio 2023

«Tutto su Anna. Conversazione con Patrizia Carrano» di Doriano Fasoli

 

 

A cinquant'anni dalla morte esce, in una edizione ampliata e aggiornata, una biografia intitolata Tutto su Anna. La spettacolare vita della Magnani, edita da Vallecchi e firmata da Patrizia Carrano. Un volume di 400 pagine con una copertina che sottrae la nostra attrice al cliché di grande tragica con cui spesso la si ricorda: a guardare la fotografia che campeggia sul titolo sembra di sentire la risata dirompente di quel personaggio inconfondibile, «donna di cappa e di spada», come la chiamava Totò. Un’interprete capace di traversare il teatro classico e il varietà, il Neorealismo e la commedia leggera, con un suo stile personalissimo, nella vita come nella recitazione. Scapigliata quando le altre portavano acconciature leccate, non bella in un periodo di femminilità leziose, disobbediente e ribelle per temperamento, Anna Magnani è stata paradossalmente più dimenticata negli ultimi anni della sua vita che non oggi. Ne abbiamo parlato con l'autrice della biografia, Patrizia Carrano.

 

Doriano Fasoli: È possibile definire la Magnani in una frase?

 

Patrizia Carrano: Direi anche in una sola parola: contradditoria. Anna è stata antidiva ma primadonna. Bella ma anche brutta. Indipendente ma sottomessa. Coraggiosa ma paurosa. Drammatica ma ironica. Attrice classica ma dialettale. Principesca ma plebea. Moderna ma antichissima. E potrei continuare ancora.

 

A cinquant'anni dalla sua scomparsa che bilancio si può fare della sua presenza nel cinema?

 

Diciamo che la sua celeberrima corsa dietro il camion dei nazisti di Roma città aperta (1945) è divenuta il simbolo stesso del Neorealismo. L'icona del nuovo cinema del dopoguerra. Un cinema che è stato amato da Martin Scorzese, che si è imposto nel mondo per la sua forza dirompente, per ‘urlo delle cose’ che finalmente raccontava. La Magnani, con la sua recitazione moderna, scabra, aveva già attirato l'attenzione di Luchino Visconti che l'aveva scritturata per Ossessione (1943). Ma quando la lavorazione cominciò Anna era incinta di cinque mesi, e dovette rinunciare al ruolo che fu affidato a Clara Calamai. La Magnani apparteneva naturalmente alla temperie dei tempi nuovi. E difatti negli anni Cinquanta ebbe a disposizione dei personaggi indimenticabili, come l’omonima protagonista de L'onorevole Angelina (1947), oppure la carcerata di Nella città l'inferno (1959). La Magnani è stata l'interprete perfetta di un certo ribellismo femminile che affondava le sue radici nel rifiuto delle catene della tradizione, ma che non sapeva porsi traguardi che esulavano dal vitalismo dei propri sentimenti. Ad Anna si addiceva la protesta, si addiceva il disagio, il coraggio. Poteva essere Fedra, Medea, la Lupa di Verga, poteva essere un'amante delusa, una dolente madre mediterranea: tutti personaggi stretti e costretti nel ruolo che il mondo assegnava loro, tutte donne capaci di gesti assoluti, sanguinari. Questo non significa che sia datata. 

21 aprile 2019

«Su Carolina Maria de Jesus. Conversazione con Rita Ciotta Neves» di Doriano Fasoli



Rita Ciotta Neves è nata a Roma nel 1949, dove si è laureata in Lettere presso l’Università La Sapienza, concludendo il dottorato in Storia presso l’Università Portucalense Infante D. Henrique. Dal 1980 vive a Lisbona. È stata docente di Italiano all’Università di Coimbra e, nell’ambito del Progetto Erasmus, docente alle Università di Perugia, Arezzo e Lecce. A Lisbona è stata docente di Italiano all’Istituto Italiano di Cultura e di Semiotica e di Teoria letteraria all’Università Lusófona. Oltre a numerosi articoli, saggi e traduzioni, ha pubblicato Italo Calvino – Lições de Modernidade (Edições Universitárias Lusófonas, 2007) e Gramsci – A cultura, os subalternos, a educação (Edições Colibri, 2016). Ha pubblicato in questi giorni, presso la casa editrice Alpes, Carolina Maria de Jesus. Una biografia ai margini della letteratura.

Doriano Fasoli: Professoressa Neves, in quali anni è vissuta Carolina Maria de Jesus?

Rita Ciotta Neves: La scrittrice nasce a Sacramento, una piccola località nello stato di Minas Gerais, nel 1914 e muore a Parelheiros, nella periferia di San Paolo, nel 1977. Carolina vive in un periodo di grandi trasformazioni sociali e politiche nel Brasile. Nel ’45 finisce il periodo dittatoriale di Getúlio Vargas e nel ’64 ne comincia uno ancora più duro, quello della dittatura militare, che finirà solo nell'’85. La sua vita adulta e di scrittrice si svolge dunque tra le due dittature, in quell'intervallo aureo della presidenza di Juscelino Kubitschek, quando il paese si risveglia e vive la speranza e la frenesia di una nuova epoca. Sono gli anni della costruzione di Brasilia e dell'affermarsi delle grandi metropoli, come San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte. E, in campo culturale, gli anni del modernismo, che rivoluziona tutte le forme d'arte, dalla pittura all'architettura, alla letteratura. Ed è anche il periodo della nascita delle favelas, questi immensi agglomerati urbani dove vivono i poveri, i marginali, gli immigrati che arrivano dall'entroterra in cerca di lavoro nelle grandi città. Nel ’60, quando esce il primo libro di Carolina, lo sperimentalismo modernista si è già placato, lasciando il posto a una maggiore sensibilità sociale e a una maggiore ricerca di letteratura impegnata. Questo spiega anche il meteorico successo del diario Quarto de despejo, accolto come una voce che tra le prime arriva da dentro la favela e che è una testimonianza in prima persona dell'ingiustizia sociale e dei problemi razziali del paese.

Anche secondo lei, come affermava Alberto Moravia, «le parole di Carolina hanno una profondità shakespeariana»? 

Moravia scopre Quarto de despejo nel ’60, durante un suo viaggio in Brasile in compagnia di Elsa Morante. Il diario di Carolina Maria de Jesus vive, in quell'anno, il suo momento di maggior successo, è già stato tradotto in 13 lingue e venduto in 40 paesi. Moravia ne rimane affascinato e vede nell'opera di Carolina una forza che avrebbe potuto contribuire alla soluzione dei problemi razziali brasiliani. Con l'espressione «profondità shakespeariana», lo scrittore si riferisce al profondo e acuto sguardo che Carolina rivolge alla complessità della condizione umana. Perché lei descrive la condizione di una donna brasiliana nera e favelada, madre nubile di tre figli, ma la sua storia potrebbe essere quella di una qualsiasi donna ‘subalterna’, proveniente da qualsiasi parte del pianeta, appartenente a qualsiasi cultura. L'osservazione di Moravia mi sembra quindi molto giusta, perché le parole di Carolina sono universali, così come lo sono quelle di Shakespeare.

15 marzo 2013

«Cordoglio per la scomparsa della Prof.ssa Fiorangela Oneroso»




Cordoglio per la scomparsa della Prof.ssa Fiorangela Oneroso
Data evento: 10 marzo 2013

Il 10 marzo del 2013 è venuta a mancare Fiorangela Oneroso, già Professore Ordinario di Psicologia generale e, per due mandati, Presidente del Corso di Laurea in Filosofia. Il suo profilo è caratterizzato soprattutto dal rilevante contributo dato allo sviluppo e – prima ancora – alla definizione stessa del campo della psicologia. Suo tratto distintivo è stata la capacità di coniugare lo sguardo rivolto verso l'interno della psicologia con l'attenzione a ciò che avveniva all'esterno di essa, dunque al suo nesso con le altre discipline, dapprima con l'epistemologia e le scienze umane, poi con l'estetica e le teorie della letteratura. Fra i più giovani professori ordinari degli atenei italiani – prima a Cassino, poi a Salerno – aveva iniziato la sua carriera di studi nell'ambito delle attività di ricerca promosse dalla professoressa Giulia Villone Betocchi, presso le università di Salerno e di Napoli. A quel periodo risalgono i suoi primi scritti, fino all'impegnativo volume L'oggetto della psicologia nella riflessione marxista (Liguori, Napoli 1979), che dà inizio al riconoscimento dell'importanza della sua ricerca nella sfera più prestigiosa degli addetti ai lavori. Il suo ruolo di docente è segnato dall'aver dato vita a un filone di studi sulle radici teoriche del pensiero psicoanalitico. Al volume Mente e pensiero. Saggi sull'opera di Wilfred Bion (Liguori, Napoli 2004), che raccoglie scritti suoi, di suoi allievi e colleghi, e da lei curato insieme ad Anna Gorrese, è stato assegnato il premio «Gradiva». Alla sistematizzazione e allo sviluppo delle intuizioni più feconde del pensiero di Ignacio Matte Blanco sono dedicati alcuni suoi volumi personali, Nei giardini della letteratura (Clinamen, Firenze 2009), in parte Memoria, tempo, desiderio (Idelson Liviana, Napoli-Padova 1992), e alcuni volumi collettivi da lei ideati e curati insieme a Pietro Bria – nell'ambito di un collaborazione fra l'Università di Salerno e l'Università Cattolica del «Sacro Cuore» di Roma – a partire da L'inconscio antinomico (Franco Angeli, Milano 1999), con la partecipazione di alcuni fra i protagonisti più importanti della cultura italiana ed europea. Negli ultimi anni, ha pubblicato due raccolte di poesie: Inoltre (Anterem Edizioni, Verona 2010), Intus (idem, 2011).

L'altissimo esempio di studiosa e di docente, l'assoluta onestà intellettuale, il singolare, inconfondibile modo di sintonizzarsi sulle istanze più profonde dei suoi interlocutori, studenti o docenti che fossero, fanno della sua stessa figura una preziosa eredità per tutti coloro che l'hanno conosciuta.
Università degli Studi di Salerno