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4 dicembre 2021

«Doriano Fasoli. “Derive. Schegge di vita in versi e in prosa”» di Luciano Albanese

 


Doriano Fasoli

Derive. Schegge di vita in versi e in prosa

Prefazione di Stefano Santuari

Alpes, Roma 2021

X-139 pp.

€ 15,00

ISBN: 8865317345



Scrittore, critico, giornalista e sceneggiatore, studioso e docente di psicoanalisi e letteratura, Doriano Fasoli si ripresenta ora al pubblico in veste di poeta. Lo stile di Fasoli, sul quale tornerò, ricorda quello delle ‘poesie in prosa’ di Rimbaud, ed è particolarmente in linea col contenuto dell’opera, bene compendiato dal titolo. Come una barca che ha perso gli ormeggi e fluttua alla mercé della corrente – spiega Fasoli – così è la vita. Non si sa da dove si parte, non si sa da dove si viene e non si sa dove si arriva. È un moto che i greci definivano ‘planetario’, ovvero ‘errante’, come quello dei ‘pianeti’, appunto, chiamati così perché nella prospettiva geocentrica apparivano retrogradi. Tuttavia, osserva Fasoli, verso la fine di questo viaggio ‘planetario’ ci si accorge che non è tanto importante la meta – peraltro ignota – ma certe stazioni incontrate lungo la via.

 

Derive è il ricordo, tradotto nella forma poetica, di un centinaio di queste soste, siano esse incontri, interviste, ricordi di viaggio o emozioni vissute interiormente. Si inizia con infanzia e adolescenza, dove emerge la figura della madre e soprattutto del padre, controfigura di Jean Gabin nel Porto delle nebbie. Poi il militare, e successivamente l’incontro decisivo con Stefano Santuari, autore della bella prefazione. Gustosissima la loro irruzione nell’eremo di Camaldoli: un tentativo di fuga mistica dal mondo risolto in tagliatelle ai funghi porcini e telefonate di nascosto alle ragazze, prima della inevitabile cacciata dal convento. Anche Michele Psello, mutatis mutandis, fece un’esperienza simile, prima che il gorgo della vita lo risucchiasse di nuovo. 

 

Esperienze di vita e di morte si intrecciano continuamente nel libro di Fasoli. Dal sofferto ricordo della lunga, eroica sofferenza di Martine alle interviste con Carmelo Bene e Fabrizio De André, entrambi destinati a una vita breve, ma quasi consapevoli di questo, e del fatto che dopo sarebbero vissuti perennemente nel ricordo. Altre figure note emergono dal ‘Vortice di incontri’ che vede sfilare personaggi come Barilli, Maria Luisa Spaziani, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Cesare Brandi, colto nella serenità della bella villa di Vignano di Siena, Emilio Garroni, Giovanni Macchia, Toti Scialoja, Sergio Endrigo, e altri ancora. In Appendice ritroviamo Carmelo Bene, intervistato nel corso del suo memorabile Riccardo III, Emilio Garroni, il cui ricordo mi riporta agli anni della Sapienza, ed Elémire Zolla, il nuovo, aristocratico vate della filosofia perenne di Agostino Steuco. E ancora, l’indimenticabile ritratto di Marguerite Duras, che aveva ribattezzato Fasoli ‘Terence Stamp’.

29 ottobre 2018

«Da Attilio Bertolucci a Pietro Citati, due libri. Conversazione con Paolo Lagazzi» di Doriano Fasoli



Entrare nel lavoro saggistico di Paolo Lagazzi è sempre un'esperienza particolare dati i non comuni interessi e le molteplici sfaccettature culturali, mentali e umane che stanno a monte di questo lavoro. Dopo aver prodotto sul poeta Attilio Bertolucci un'imponente quantità di studi e di scritti (monografie, saggi, antologie, l'edizione delle opere in un «Meridiano» Mondadori, perfino un’indimenticabile narrazione biografica, La casa del poeta, edita da Garzanti nel 2008, introdotta da Bernardo Bertolucci), Lagazzi è tornato da poco a pubblicare un volume che aggiunge una serie di tasselli importanti alle tante pagine da lui già dedicate al poeta. Lo incontro a Milano nel suo studio gremito non solo di migliaia di libri (moltissimi su argomenti magici, esoterici e orientali) ma anche ricco degli oggetti più disparati (statuette e maschere buddhiste, icone ortodosse, calligrafie giapponesi, attrezzi da prestigiatore, chitarre, flauti, spartiti di canti gregoriani…) per parlare anzitutto di questo libro che s'intitola Come ascoltassi il battito d'un cuore e che è pubblicato da Moretti & Vitali.

Doriano Fasoli: Da cosa viene questo titolo così musicale?

Paolo LagazziCome ascoltassi il battito d'un cuore è un endecasillabo appartenente a una poesia di Bertolucci molto intensa e commovente, «Ringraziamento per un quadro». È una poesia di Viaggio d’inverno dedicata a un pittore dilettante di Parma, Fiorello Poli, che un giorno d’estate del 1944 dipinse una veduta di quei campi di Baccanelli, a pochi chilometri dalla città, che appartenevano alla famiglia Bertolucci. Mentre lo guarda dipingere, il poeta sente la naturalezza, la verità del suo gesto artistico: per quanto umili, quei tratti di pennello sono come il battito d'un cuore che pulsa all'unisono con la vita, con la luce estiva che si sposta lentamente sulle cose… La Storia, appena evocata in quell’accenno al fatto che Poli era lì, in campagna, perché «sfollato», cioè fuggito dalla città (Parma ha subìto pesanti bombardamenti nella seconda guerra mondiale), sembra svaporare di fronte a quel piccolo quadro.

Il battito del cuore ha sempre avuto un'importanza primaria per Bertolucci e per la sua poesia…

Sì, tutti i suoi lettori sanno che soffriva di extrasistoli e che ha spesso affermato di comporre i propri versi seguendo il ritmo incerto del proprio cuore. Anche nella poesia dedicata a Fiorello Poli il ritmo dei versi appare dapprima sottilmente irregolare, ma, attraverso piccole crepe o sconnessioni, finiscono per prevalere gli endecasillabi, mentre il cuore del poeta, liberandosi via via della propria angoscia, si fonde col tranquillo battito cardiaco del piccolo pittore, un battito nutrito dalla bellezza semplice e immensa del mondo.

6 marzo 2018

«“Il divino egoista” di Attilio Bertolucci e Doriano Fasoli», di Cinzia Baldazzi














Il divino egoista
Attilio Bertolucci e Doriano Fasoli
Alpes Edizioni
Roma 2018
Prefazione di Franco Cordelli
Presentazione di Paolo Lagazzi
Scritti di Enzo Siciliano, Alfonso Berardinelli, Elio Fiore
Euro 10,00
70 pp.
ISBN: 88-65-31442-7










In tempi di sfacelo delle poetiche, la poesia resiste.
(Attilio Bertolucci, da «Un’ansia religiosa senza maledettismo», Il Giorno, 11 giugno 1975)

Divino egoista, lo so che non serve
chiedere aiuto a te
so che ti schermiresti.
Abbitela cara – dice – quest’ombra
verde e questo male. Evasivo
scostandosi lo copre con una
sua foglia di gaggìa –
                                         biglietto
d’invito a una festa che ci si prepara
vaga come una nuvola
in groppa all’Appennino.

(Vittorio Sereni, «A Parma con A. B.»,
agosto 1978, parte IV)


Ricordo di aver sfiorato l’esperienza di intravedere il futuro presente e prossimo del comunicare in generale, e nello specifico di matrice letteraria, quando nelle pagine d’esordio de L’ordine del discorso di Michel Foucault leggevo:

Nel discorso che devo oggi tenere, e in quelli che mi occorrerà tenere qui, forse per anni, avrei voluto poter insinuarmi surrettiziamente. Più che prendere la parola, avrei voluto esserne avvolto, e portato ben oltre ogni inizio possibile.1

Poco dopo il filosofo francese, davanti al pubblico dei suoi nuovi studenti e al corpo accademico, sosteneva:

Mi sarebbe piaciuto che dietro a me ci fosse (avendo preso la parola da un pezzo, superando in anticipo tutto quello che sto per dire) una voce che parlasse così: «Bisogna continuare, non posso continuare, bisogna dire parole finché ce ne sono […], è forse già cosa fatta, mi hanno forse già detto, mi hanno forse portato sino alle soglie della mia storia, dinnanzi alla porta che s’apre sulla mia storia, mi stupirei si aprisse, questa porta».2

È come se nel libro Il divino egoista, di Attilio Bertolucci e Doriano Fasoli, gli enunciati del testo citato, proiettati in un rigoroso ma elegante meccanismo utopico, prendessero parola (al di fuori, è ovvio, del mitico ed hegeliano Jean Hyppolite, ammirato maestro di Foucault) dapprima tramite il critico firmatario dell’articolata intervista, quindi con il poeta, «nella tranquillità del salotto in penombra» della casa romana di Monteverde, con un Bertolucci ironico e vivace, «pieno di grazia e leggerezza, e di un garbo antico» e con una «profondità di pensiero che è propria degli uomini più semplici».3

Nato a San Prospero, frazione di San Lazzaro, nella campagna vicino a Parma – città nella quale frequentò il Convitto Nazionale «Maria Luigia» – si laureò in Lettere all’università del capoluogo di regione, ateneo scelto non appena Roberto Longhi ottenne la cattedra di Storia dell’Arte. «Nel 1935 andò a insegnare a Bologna», spiega Bertolucci, «e mia moglie, che studiava lì, sentì la sua famosa prolusione sulla pittura bolognese da Vitale (riscoperto da Longhi) a Morandi».4

29 aprile 2015

«Tra poesia, il suo nuovo romanzo e gli inediti di Bertolucci: conversazione con Paolo Lagazzi», di Doriano Fasoli

Paolo Lagazzi, saggista e scrittore, è nato a Parma nel 1949 e risiede a Milano. Si è occupato di letteratura, buddhismo, magia, musica, cinema e pittura. Collabora a riviste e case editrici italiane e straniere. Ha pubblicato libri di saggistica (ricordiamo Rêverie e destino; Vertigo. L’ansia moderna del tempo; Forme della leggerezza), fiabe (La scatola dei giochi; La fogliolina) e racconti. Ha curato antologie di poesia giapponese e, per i «Meridiani» Mondadori, i volumi delle opere di Pietro Citati, Maria Luisa Spaziani ed Attilio Bertolucci (con il quale ha realizzato, nel 1997, un libro intervista: All’improvviso ricordando. Conversazioni). La presente conversazione si incentra sulle recenti pubblicazioni di Lagazzi: il romanzo Light stone, edito da Passigli, la raccolta di saggi La stanchezza del mondo. Ombre e bagliori dalle terre della poesia, edito da Moretti & Vitali, e la curatela, con Gabriella Palli Baroni, di una silloge di opere rimaste finora inedite di Attilio Bertolucci, dal titolo Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto, uscito per i tipi Diabasis.

Doriano Fasoli: Alla fine del 2014 è apparso per le edizioni Diabasis un libro di testi inediti o rari di Attilio Bertolucci, Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto, curato da lei e da Gabriella Palli Baroni. Come è nato questo volume?

Paolo Lagazzi: È nato da un’idea che portavo dentro di me da parecchi anni e a cui Gabriella Palli Baroni ha aderito con entusiasmo. L'idea era, semplicemente, quella di raccogliere i migliori testi in versi e in prosa di Bertolucci rimasti inediti o dispersi in riviste, non presenti nel «Meridiano» Mondadori curato da me e da Gabriella. La maggior parte degli inediti erano nel fondo bertolucciano dell'Archivio di Stato di Parma, altri nel mio archivio personale e in quello della signora Palli Baroni. Dopo aver letto e riletto molte carte, molti foglietti segnati dall’inconfondibile, curvilinea calligrafia del poeta, io e Gabirella abbiamo scelto i testi che sentivamo più intensi e significativi, poi li abbiamo divisi in tre sezioni: la prima contiene liriche scritte da Bertolucci nell'intero arco della sua esistenza, da quando era giovanissimo fino a tre anni prima della morte; la seconda offre bellissime sequenze, brani o frammenti esclusi da La camera da letto; la terza raccoglie alcune prose di profonda qualità poetica.

Quali pensieri e quali emozioni Il fuoco e la cenere può suscitare in chi già conosce e ama Bertolucci e in chi ancora non lo conosce?

Per chi conosce Bertolucci in modo non superficiale questo libro non potrà non risvegliare quell'insieme di sensazioni, emozioni sottili e segrete, note intime, risonanze ricche di una verità umile e immensa che tutta la sua opera trasmette. Credo sia sempre miracoloso il dono che sa offrirci un poeta originale, vivo e struggente come lui, e straordinaria la possibilità di ritrovare questo dono in luoghi imprevisti, in pagine inesplorate o disperse. Chi ancora non lo conosce troverà in questo libro un ottimo viatico per inoltrarsi nel suo mondo, per esplorarlo lentamente e per lasciarsi assorbire dalla luce vera e fantastica delle sue immagini, dal suo vibratile sentimento del tempo, dalla bellezza straziante del suo amore per la vita e del suo dolore di fronte all’ombra, al nulla, alla morte.

Quali sono le poesie e le prose di Il fuoco e la cenere a cui lei si sente più affezionato?

Tra le poesie un luogo molto speciale nel mio cuore occupa quella che comincia col verso «Come lucciola allor ch’estate volge» e che evoca una lucciola morente, persa in un prato di luglio, «sola nella notte», richiamando attraverso essa il destino di ogni anima; è la poesia che scelsi di leggere in pubblico il 17 giugno 2000 a Parma, durante la parte «civile» del funerale di Attilio. Credo sia un testo meraviglioso, di una limpidezza tragica con pochi confronti possibili nel Novecento. Ma Il fuoco e la cenere raccoglie parecchi testi memorabili. Mi permetta di ricordare almeno «Alla mia giovinezza» e «Avevo dormito a lungo, senza sogni» tra le liriche sparse; la misteriosa sequenza conclusiva del «Viaggio di nozze» tra i brani esclusi dal romanzo in versi; infine «Un giorno del ’44», scorcio di grande qualità epica e umana sull'invasione tedesca dell'Appennino, tra le prose.