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7 gennaio 2019

«Bambole perverse. Conversazione con Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri» di Doriano Fasoli



Mariuccia Ciotta, giornalista e critico cinematografico, autrice di programmi radiotelevisivi, ha scritto saggi e libri su autori e generi del grande schermo. Tra le sue pubblicazioni: Un marziano in tv. (Francamente me ne infischio). Adriano Celentano (Rai Libri, 2001), Rockpolitik. Adriano Celentano (Bompiani, 2006), Walt Disney. Prima stella a sinistra (Bompiani, 2010). Ha diretto il quotidiano il manifesto dal 2003 al 2009.
Roberto Silvestri, giornalista e critico cinematografico, conduttore Rai del programma Hollywood Party, ha pubblicato Macchine da presa. Il cinema verso il nuovo millennio (minimum fax, 1996). Tra i fondatori del cineclub Il Politecnico, ha diretto i festival di Lecce, Rimini, Bellaria, Aversa, Ca’ Foscari, Sulmona e la collana «Illegal & Wanted» per Raro Video. Ha ideato e diretto Alias, settimanale culturale de il manifesto.
Ciotta e Silvestri hanno inoltre scritto insieme Da Hollywood a Cartoonia (manifestolibri, 1993), Il Ciotta-Silvestri (Einaudi, 2012) e, con Rossana Rossanda, Il film del secolo (Bompiani, 2013). Il loro ultimo lavoro, Bambole perverse. Le ribelli che sconvolsero Hollywood, è da poco uscito per i tipi La nave di Teseo.

Doriano Fasoli: Ciotta e Silvestri, nella prefazione al vostro libro Luca Guadagnino scrive: «Sono sicuro che per Ciotta e Silvestri il cinema è una pistola. Per loro, come per il personaggio di Joan Crawford in Johnny Guitar, il cinema è un atto di violenza etica.» Vi corrisponde quest’affermazione?

Roberto SilvestriIn senso metaforico sì. To shoot, giraresignifica anche sparare, in inglese… Étienne-Jules Marey, tra i pionieri del cinema, sfruttò il meccanismo utilizzato a quel tempo dalle armi da fuoco più moderne per realizzare una rudimentale cinepresa a forma di fucile. Infatti, non dimentichiamo mai, «quando un uomo con la pistola incontra l’uomo con il fucile…» Armare il pubblico con ogni mezzo di difesa e di attacco necessario, dalla pistola di un tempo fino allo scudo spaziale di questi tempi, è uno dei compiti della critica non schematica e non settaria e anche dei registi in questa epoca di fake news e di fake newsreel. Il cinema è «una accumulazione simultanea e progressiva di conflitti», come ricordava Glauber Rocha pensando a Èjzenštejn e a Faulkner.

Mariuccia Ciotta: Sì, il cinema richiede un atto di violenza contro il «sentimento di rassegnazione», come dice Alain Badiou. Il cinema è qualcosa che riconfigura la realtà attraverso uno shock emozionale, e immagino il critico nelle vesti, anzi nello shell, di Motoko, il cyborg di Mamoru Oshii che trasmette una inquietante estraneità agli umani, e si batte contro le ingiustizie con le sue potenti e futuribili armi spaziali.

2 febbraio 2014

«Il gelo, dentro. Tradurre "Un viaggio all’estero" di Francis Scott Fitzgerald», di Stella Sacchini










Traducendo Il meraviglioso mago di Oz di Frank Baum, mi sono imbattuta in un curiosissimo saggio di Ray Bradbury sul meraviglioso mago («Per le cose meravigliose che fa», prefazione a Il meraviglioso mago di Oz, Feltrinelli, trad. mia, di prossima pubblicazione). Bradbury propone un piccolo test al lettore: scegliere un amico, bendarlo, fargli fare un giro nella stanza e poi condurlo davanti a un tavolo dove sono stati sistemati due libri (in questo caso Il meraviglioso mago di Oz, appunto, e Alice nel Paese delle Meraviglie) e a quel punto chiedergli di abbassare piano piano la mano fino a toccare uno dei due libri. Come avverrà la scelta? Bradbury parla di una temperatura del libro, di una sorta di atmosfera, di clima che trasuda in alto, in direzione delle dita ancora indecise.

Dal Paese delle Meraviglie un paesaggio invernale, dove, quando i personaggi parlano, se ne vede il fiato. Una temperatura intorno a zero gradi. Da Oz un’aria da panetteria. Oz è la terra dell’agosto perenne, accarezzata dai venti di scirocco che soffiano dai deserti che la circondano, da ogni lato.

Il traduttore, quindi, ancor più del lettore, dovrebbe essere capace, avvicinando le dita al libro sul tavolo, di stabilirne la temperatura.

Traducendo «Un viaggio all’estero» (tit. or. «One trip abroad»; in Francis Scott Fitzgerald, Racconti, Feltrinelli, a cura di Franca Cavagnoli, Milano 2013), coevo a Tenera è la notte, mi sono chiesta, dunque, che temperatura avesse e se questa temperatura fosse la stessa della scrittura di Fitzgerald in generale. Mi sono accorta che il viaggio dei Kelly, di Nelson e Nicole, la giovane coppia di americani protagonista della storia, altro non è che un progressivo e ineluttabile movimento da sud verso nord, dal caldo al freddo.

In «Un viaggio all’estero», la temperatura s’abbassa lentamente, grado dopo grado, pagina dopo pagina. Si parte da Algeri, dai margini del deserto ai confini con l’Egitto, si passa per Sorrento, Parigi, Montecarlo e la Costa Azzurra e si finisce in Svizzera, paese «dove cominciano poche cose, ma molte finiscono». È Fitzgerald stesso a suggerirci, all’inizio della quarta e ultima parte del racconto, che l’elemento geografico (e quindi climatico, aggiungerei) non va trascurato.

14 ottobre 2012

«Intervista a Luigi Malerba» di Doriano Fasoli



Luigi Malerba
Oltre alle opere di narrativa, romanzi e racconti, Luigi Malerba (nato a Parma nel 1927) ha scritto testi per il cinema e la televisione e numerosi libri per ragazzi che, come quelli di narrativa, sono tradotti in tutto il mondo. Ha partecipato alle attività del Gruppo 63. Tra le sue opere ricordiamo: La scoperta dell’alfabeto (1963), Salto mortale (1968), Il protagonista (1973), Diario di un sognatore (1981), Il pianeta azzurro (1986), Il fuoco greco (1991), Le pietre volanti (1992), Che vergogna scrivere (1996), Itaca per sempre (1997), La composizione del sogno (2002), Ti saluto filosofia (2004). Ha vinto numerosi premi letterari, tra i quali il Médicis, il Mondello, il Grinzane Cavour e il Viareggio.

Malerba è scomparso a Roma l’8 maggio 2008. Con affetto vogliamo ricordarlo pubblicando questa intervista quasi interamente inedita.

Doriano Fasoli: Malerba, quando e perché decise di trasferirsi da Parma a Roma?

Luigi Malerba: Nel gennaio del 1950 sono scappato da Parma, una città civilissima ma con un clima insopportabile, caldo torrido d’estate e freddo glaciale d’inverno, e sono sbarcato nella Capitale. Una migrazione, la mia, come quella degli uccelli che vanno in cerca di condizioni di clima favorevoli. Fra parentesi dirigevo allora Sequenze, una rivista cinematografica alla quale collaboravano qualificati studiosi di cinema e letterati, da Guido Aristarco a Mario Verdone, da Mino Maccari a Ennio Flaiano: un ottimo biglietto da visita per l’ambiente cinematografico romano. Il clima, il cinema: due buoni motivi per trasferirmi a Roma. Intorno ai fasti e alle miserie della vita cinematografica ho scritto su Cinema Nuovo negli anni Cinquanta Le lettere di Ottavia, che ho ripescato nel 2004 e pubblicato con questo stesso titolo in un librino per l’editrice Archinto.

16 febbraio 2012

«Con Cinzia Baldazzi su 'Passi nel tempo' di Maurizio Minniti» di Doriano Fasoli


Quindici poesie di Maurizio Minniti seguite da altrettanti commenti di Cinzia Baldazzi: questa la formula del libro che affianca i versi di un poeta alle annotazioni storico-filosofiche di un critico. Il volume, pubblicato dall’editore fiorentino Pagnini nel dicembre 2011, è intitolato Passi nel tempo. Ne parliamo con Cinzia Baldazzi, autrice dei commenti. Laureata in Lettere Moderne, ha pubblicato saggi e articoli di carattere letterario. È stata per molti anni collaboratrice fissa di quotidiani e periodici per rubriche di critica teatrale e cinematografica. Collabora da oltre vent’anni con la Rai nei programmi di intrattenimento. Vive e lavora a Roma.

Doriano Fasoli: Quali sono le tue predilezioni in campo poetico?

Cinzia Baldazzi: Mi incantano, ogni volta che li leggo, i Sonetti di Foscolo, ma i miei best sono i Canti di Leopardi, il Libro dei poemi di García Lorca, Foglie d’erba di Whitman. Del Novecento italiano, oltre alla raccolta L’allegria di Ungaretti – magnetica e autoritaria – mi piace leggere di tanto in tanto Montale, Penna, Pavese. Da ragazza coltivavo anche la mitologia della «poesia pura» degli ermetici cosiddetti 'moderni', come Solmi, De Libero, Sinisgalli.

29 dicembre 2011

«Conversazione con Alfonso Berardinelli» di Doriano Fasoli


Doriano Fasoli: Berardinelli, quali sono le prospettive della critica del nuovo Millennio? Che futuro ha la critica? Può indicarmi i nomi e le linee di tendenza su cui scommettere?

Alfonso Berardinelli: Di solito non faccio altro che nominare gli scrittori che preferisco. Non ho altra religione, nessun altro ‘credo’. È tutta una questione di amore e odio. La critica in fondo non ha altri moventi. Le linee di tendenza su cui scommettere sono, per me, semplici e vaghe. Si tratta di capire e perfezionare, credo, la propria singolarità, dato che siamo, irrimediabilmente, dei singoli imperfettamente, provvisoriamente socializzati. La propria autenticità (se c’è) va recitata (dato che bisogna esprimerla). Oggi, in fin dei conti, mi sento una specie di anarchico radicale che per discrezione recita da scettico liberal-democratico… Ma queste categorie suonano sempre un po’ enfatiche e deformanti…

14 giugno 2011

«Cibo e letteratura. Caratteri generali della questione» di Nicola D'Ugo


Il figlio dell'uomo di René Magritte (1964)
Fin dall’alba della letteratura l’alimentazione è stata investita di significati importanti. Il rapporto imprescindibile tra vita e nutrizione da un lato, e l’investimento culturale che l’uomo ha riposto nell’alimentazione dall’altro ne fanno un tema la cui articolazione si presenta sotto la veste della complessità.

Un dietologo al quale confidai che mi occupavo di immaginario alimentare nel romanzo moderno non mi fece mistero che dovessi interessarmi al valore nutritivo degli alimenti e alla sua ricaduta sulla vita dei personaggi, argomento, questo, cui lui attribuiva un grande rilievo a scapito di numerosi altri aspetti. Un cuoco pensò subito che fossi un appassionato conoscitore di pietanze, ricette e casseruole, mi parlò delle sue recenti esperienze culinarie e mi fece assaggiare alcuni suoi piatti.

4 febbraio 2011

«Due parole sulla critica» di Nicola D'Ugo


T. S. Eliot
Il filo condutture degli articoli che costituiscono il lavoro di un critico impegnato, nella loro diversità di stile e ampiezza, è l’attenzione posta alla letteratura in quanto capace di produrre discorsi sulle tematiche contemporanee (amore, diversità, paternità, guerra, democrazia, tecnologia, ambiente, città, calchi culturali, comunicazione, aspirazione ecc.). Quello che interessa un critico attento è la letteratura, la capacità di un testo di stimolare domande e, anche, di offrire risposte a domande, siano risposte alle nostre richieste di emozioni che di idee.

Una difficoltà della critica letteraria applicata ai testi contemporanei sta nell’individuazione della forza di un testo, a prescindere dagli interessi momentanei del lettore e del critico, dalla loro sfera culturale e ideale, dalla sensibilità che rivolgono a certe tematiche: in altre parole, dalla prospettiva del lettore che preceda la lettura. Un grande testo mette in crisi, in genere, proprio quella prospettiva; in qualche caso, invece, le dà spessore, la approfondisce.

2 dicembre 2010

«Poesia e critica» di Nicola D'Ugo





È proprio la risposta, mammina
cara, che non cerchiamo piú;

residui individui come siamo
di un tempo vecchio e assieme
di uno nuovo che ancora non svela
la sua forma. Che non è piú né mito
né storia né progresso.

Franco Marcoaldi¹


Alla memoria di Allen Ginsberg e Gianni Martella

In un tempo in cui si va velocizzando la fruizione estetica (anche delle opere d'arte), ad alcuni anziani artisti e poeti, come nei bei tempi andati, vengono profferti onori nelle piú varie occasioni, dalla mostra rappresentativa di un percorso individuale e di un'epoca, alla presentazione di un libro, a cittadinanze e lauree honoris causa. Questi avvenimenti, apparentemente dedicati alla cultura, ben poco hanno a che fare con la reale fruizione delle opere dei festeggiati e, come barlumi di poca fonte, producono un impercettibile effetto sulla collettività, che può riconoscersi piuttosto in una perniciosissima omissione: i promotori e gli interpreti dell'evento celebrano un passato che è, sí, ancora in vita, ma con il fine non della rivalsa dell'intelligenza e della sensibilità dalle stradine e dai viottoli dell'oblio bensí della garanzia –autopromossa mediante il rito culturale dall'accademico, dal politico, dall'imprenditore, dall'operatore culturale d'occasione– di una spudorata, e talvolta davvero inconsapevole, impunità da parte di quegli italiani i quali all'arte e alla letteratura non sono del tutto restii. Questi italiani vengono di fatto ingannati, giacché la vera letteratura è entro le regole della collettività, e vi dimora bene, solo quando quest'ultima è serena. Non mi pare di riscontrare attualmente in Italia una tale serenità.