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30 luglio 2018

«“Una perfetta vicinanza”, romanzo di Fabio Ciriachi» di Cinzia Baldazzi



Fabio Ciriachi
Una perfetta vicinanza. Romanzo
Postfazione di Giorgio Patrizi
Coazinzola Press, Mompeo (RI) 2017
294 pp.
€ 18,00
ISBN: 9788894175394


A Mantova, nelle Fruttiere di Palazzo Te, nei giorni precedenti il vernissage, un visitatore ammira un maestoso quadro intitolato L'uomo che resta, realizzato con colori dotati di una struttura chimica adeguata a reagire alle condizioni ambientali e mutare in maniera imprevedibile. Il lavoro sarà di annotare qualunque modifica nell'arco di due mesi.

Al centro scorgiamo raffigurato un sessantenne seduto a un tavolino, intento a scrivere a mano su un foglio di carta srotolato a terra, con le estremità spinte nello spazio del dipinto fino ai rispettivi lati. A sinistra, una madre con bambino, a destra, una giovane donna.

In tale atmosfera esordisce Una perfetta vicinanza, ultimo romanzo dell’autore romano Fabio Ciriachi e, quasi a evocare agli occhi del lettore l'immaginaria opera o ulteriori rappresentazioni idonee e pertinenti, suggerisce il bianco di Campigli e gli sfondi urbani di Sironi. Personalmente avrei pensato, in aggiunta, all'eleganza delle sagome di Casorati, ma senza traccia dei tormenti freudiani di Fausto Pirandello o della drammaticità di Annigoni.

La caratteristica cangiante della tela rende il narrato lunghissimo e in progress. Leggendone, quindi, i fogli riempiti quotidie, lo studioso viene a sapere della storia di Cristiano Distansi e Vanessa Lenieri, il rapporto nato online e proseguito nella vita reale, la famiglia di lui (l'ex-moglie Arlette e il figlioletto Massimo) trasferita a Bruxelles, le vicissitudini della relazione con l’esito di una dilagante solitudine.

L’incipit si inaugura nell’aura di un’eccelsa dicotomia della riflessione filosofica elaborata nel celebre dialogo di Platone, intorno al 370 a.C., quando Socrate spiega a Fedro:

Perché, o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile per la verità, alla pittura: infatti, le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene, domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto, rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla.1

Nel dipinto mantovano le figure «ti stanno di fronte come se fossero vive» e non “parlano” in una scala normativa (né potrebbero!), nonostante, in linea con i «discorsi» platonici, il testo redatto dal vecchio «rotola da per tutto»: ricade oltre i bordi del tavolo, provenendo dalla cornice di sinistra e, giunto all’angolo di destra, consente di essere “letto”.

26 gennaio 2015

«Un poeta all'inferno», di Fabio Ciriachi. Racconto d'apertura del romanzo ‘Uomini che si voltano’

Fabio Ciriachi


In occasione della recente pubblicazione del romanzo a racconti Uomini che si voltano di Fabio Ciriachi, se ne presenta qui il primo racconto in forma integrale, «Un poeta all’inferno». Il racconto era stato dapprima pubblicato a sé nel volume: AA.VV., Renault 4. Scrittori a Roma prima della morte di Moro, Avagliano, Roma 2005, a cura di Carlo Bordini e Andrea Di Consoli. Il romanzo è uscito per i tipi Coazinzola Press.

 

Fabio Ciriachi

Uomini che si voltano
romanzo a racconti

Coazinzola Press 2014

 

Un poeta all’inferno

 

Aldo Piromalli è l’essere umano più mite e disarmato che abbia mai conosciuto. Questo lo ha reso molto vulnerabile. Ancora giovane, le sue ferite erano già così numerose che oggi meriterebbe il risarcimento di qualche pensione, se alla sensibilità fosse attribuito uno spazio di riguardo tra i valori socialmente riconosciuti. Da molti anni (venti?, venticinque?), Aldo vive ad Amsterdam, forse grazie al sostegno dell’assistenza comunale. Scrive, disegna. Da un po’ di tempo fa anche mostre. Cerca un riconoscimento minimo, un angolo di mondo dove persone e cose si accorgano delle sue qualità e glielo dicano con la stessa delicatezza da lui usata nel bussare alle tante porte che gli si sono sempre chiuse davanti.

Aldo Piromalli è soprattutto un poeta. Nella comune di via Lanza, dove nel ’69 ci siamo conosciuti, Aldo era "il poeta". Parlando tra di noi, infatti, nessuno – né Stefanino né Petta, né Gai né Stefano, e neanche Renatina, Ivan e Vaporetto – diceva mai "hai visto Aldo?" ma sempre "hai visto il poeta?".

Ci mantenevamo, allora, grazie alla vendita militante del nostro giornale, attività che veniva svolta per lo più fuori dal Filmstudio, o a piazza Navona e ai vernissage nelle gallerie d’avanguardia. Lo componevamo di notte il giornale, raccolti attorno al grande tavolo su cui era stesa la matrice, un rettangolo di lucido da architetti lungo tre metri e largo cinquanta centimetri.

In alto a sinistra si collocava la testata col titolo, MADRIA, e poi, chi di qua chi di là, ci dedicavamo a scrivere e a disegnare i contenuti che riguardavano per lo più l’antimperialismo, il sostegno alle lotte operaie e a quelle di liberazione nazionale, lo smontaggio demistificatorio dei messaggi pubblicitari, una critica anarchica alle rigidità ideologiche del PCI, la difesa ragionata delle droghe leggere e altro ancora. La grafica era concepita in modo tale che il foglio poteva funzionare sia tutto aperto che ripiegato più volte su se stesso fino a formare un plico di dieci pagine comodamente sfogliabili. Le copie erano tirate in cianografia con inchiostri neri, rossi o blu e il ritmo delle uscite variava a seconda della consistenza delle nostre finanze.