8 marzo 2012

«Intervista a Franco Rella» di Doriano Fasoli


Franco Rella
Franco Rella insegna Estetica nella Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV di Venezia. È autore di numerosi libri e saggi tradotti in più lingue. Tra le sue principali opere, ricordiamo: Il silenzio e le parole (1981), L’enigma della bellezza (1991), Figure del male (2002), Miti e figure del moderno (2003), Scritture estreme. Proust e Kafka (2005). È anche coautore, con Susanna Mati, di Georges Bataille. Filosofo (Mimesis, 2007).

Doriano Fasoli: «A un certo punto ho preferito rivolgermi al piacere della lettura, che era ancora molto ingenuo, piuttosto che al piacere di giocare con degli oggetti. E sono rimasto per tutta la vita un uomo di libri, un uomo di scrittura»: sono parole di Jean Starobinski. Lei come si definirebbe, professor Rella? Qual è la sua biografia, qual è stato l’itinerario della sua vita?

Franco Rella: Forse quello che dice Starobinski vale per tutti gli scrittori. E con la parola ‘scrittore’ intendo chiunque faccia della scrittura – quella degli altri, la sua – una modalità di relazione con il mondo. Prima sono state le storie raccontate da mia nonna, poi le storie che io stesso mi raccontavo, e poi la lettura ogni giorno della mia vita. E, a un certo punto, la scrittura.

26 febbraio 2012

«Far male critica: un esempio» di Nicola D'Ugo



I tre libri della prima edizione
di 1Q84 usciti in Giappone
tra nel 2009-2010
L'esempio di un pessimo modo di far critica. Si tratta della recensione di Franco Cordelli al romanzo 1Q84 di Haruki Murakami, pubblicata nel dicembre scorso su La Lettura del Corriere della Sera e reperibile sul sito web Il club de La Lettura – sul quale l’ho letta – col titolo «L'amore immaginario di Murakami/1».

Errori di concetto fanno pensare che Cordelli abbia letto di fretta il romanzo (nel migliore dei casi), senza poi verificare quel che ha scritto. Per esempio, Aomame, la protagonista femminile del romanzo di Murakami, non è una «vendicatrice solitaria», come deve aver creduto Cordelli, ma la sicaria d’una facoltosa mandante, né la «sua missione è uccidere gli stupratori di bambine»: quella è semmai l'ultima missione della parte del romanzo pubblicata da Einaudi (il terzo e conclusivo libro è inedito in Italia). Aomame è l’esecutrice materiale dell’assassinio di alcuni uomini che compiono sistematiche violenze domestiche nei confronti delle donne, soprattutto delle mogli: nei casi estremi in cui la mandante, anch’essa donna, non abbia trovato vie giudiziarie o d’altro genere per far cessare le violenze, essa commissiona ad Aomame i delitti. Non rivelo al lettore perché la protagonista sia diventata un'assassina seriale: Murakami lo spiega a più riprese.

16 febbraio 2012

«Con Cinzia Baldazzi su 'Passi nel tempo' di Maurizio Minniti» di Doriano Fasoli


Quindici poesie di Maurizio Minniti seguite da altrettanti commenti di Cinzia Baldazzi: questa la formula del libro che affianca i versi di un poeta alle annotazioni storico-filosofiche di un critico. Il volume, pubblicato dall’editore fiorentino Pagnini nel dicembre 2011, è intitolato Passi nel tempo. Ne parliamo con Cinzia Baldazzi, autrice dei commenti. Laureata in Lettere Moderne, ha pubblicato saggi e articoli di carattere letterario. È stata per molti anni collaboratrice fissa di quotidiani e periodici per rubriche di critica teatrale e cinematografica. Collabora da oltre vent’anni con la Rai nei programmi di intrattenimento. Vive e lavora a Roma.

Doriano Fasoli: Quali sono le tue predilezioni in campo poetico?

Cinzia Baldazzi: Mi incantano, ogni volta che li leggo, i Sonetti di Foscolo, ma i miei best sono i Canti di Leopardi, il Libro dei poemi di García Lorca, Foglie d’erba di Whitman. Del Novecento italiano, oltre alla raccolta L’allegria di Ungaretti – magnetica e autoritaria – mi piace leggere di tanto in tanto Montale, Penna, Pavese. Da ragazza coltivavo anche la mitologia della «poesia pura» degli ermetici cosiddetti 'moderni', come Solmi, De Libero, Sinisgalli.

11 gennaio 2012

«'Le metamorfosi' di Ovidio» di Nicola D'Ugo


Apollo e Dafne (1622-1625)
di Gian Lorenzo Bernini
(Galleria Borghese, Roma)
Le Metamorfosi di Ovidio sono una delle opere piú influenti della letteratura occidentale. Non solo per la rassegna di miti classici di cui si sono nutrite ottanta generazioni di artisti e letterati. È una questione di scrittura, di snodi dell’intreccio, di articolazione delle narrazioni, che si perdono là dove sorgono: nell’oscurità e nella luce del mistero, dell’imprecisato, del rarefatto, dell’ignoto.

Si capisce fin dalle prime pagine che non si è di fronte a una narrazione epica a tutto tondo. Ce lo dice la rassegna di creazioni in rapida successione, che danno l’idea di un processo infinito. La poesia di Ovidio è già poesia moderna, anzi modernissima, solo perché è semplicemente poesia, fondata sulla forza delle immagini metaforiche che hanno la doppia pelle del traslato. Le vicende umane descritte da Ovidio contemplano l’uomo decaduto da uno stato originario piú piacevole, un uomo che ora deve guardarsi da tutto: dagli dèi, dagli uomini, dalla natura, dalle proprie inclinazioni.

29 dicembre 2011

«Conversazione con Alfonso Berardinelli» di Doriano Fasoli


Doriano Fasoli: Berardinelli, quali sono le prospettive della critica del nuovo Millennio? Che futuro ha la critica? Può indicarmi i nomi e le linee di tendenza su cui scommettere?

Alfonso Berardinelli: Di solito non faccio altro che nominare gli scrittori che preferisco. Non ho altra religione, nessun altro ‘credo’. È tutta una questione di amore e odio. La critica in fondo non ha altri moventi. Le linee di tendenza su cui scommettere sono, per me, semplici e vaghe. Si tratta di capire e perfezionare, credo, la propria singolarità, dato che siamo, irrimediabilmente, dei singoli imperfettamente, provvisoriamente socializzati. La propria autenticità (se c’è) va recitata (dato che bisogna esprimerla). Oggi, in fin dei conti, mi sento una specie di anarchico radicale che per discrezione recita da scettico liberal-democratico… Ma queste categorie suonano sempre un po’ enfatiche e deformanti…

8 dicembre 2011

«La via americana alla formazione dei giovani scrittori» di Silvia Pareschi


Incastrati fra un provincialismo succube del mito americano e il rifiuto aprioristico di concedere alla cultura statunitense la stessa dignità di quella europea, in Italia rischiamo di perdere di vista i reali contorni di una situazione vivace e piena di fermento come quella artistica e culturale americana. L'ambiente letterario newyorchese può fornire un quadro abbastanza preciso, anche se limitato nello spazio, delle condizioni in cui si sono formati molti dei giovani scrittori statunitensi che oggi si pubblicano in grande abbondanza sul mercato italiano. Che in America si studi scrittura creativa è un fatto risaputo, non c'è bisogno di tirare in ballo John Gardner, Raymond Carver e i loro emuli «holdeniani», e neppure le scontate critiche sull'howtoism statunitense. È vero, gli americani sono ottimisti, faciloni, pragmatici e nello stesso tempo idealisti, e credono che con un po' di buona volontà si possa imparare tutto. Anzi, con un po' di buona volontà e parecchi soldi, visto che i programmi di scrittura creativa delle università costano spesso più di 25.000 dollari l'anno solo per le tasse scolastiche, cifra che può tranquillamente raggiungere, per esempio nel caso di uno studente della Columbia, un totale di 60.000 dollari. Per i più meritevoli e meno abbienti esistono le borse di studio, oppure c'è sempre la possibilità di chiedere un finanziamento che copra le spese universitarie. Entrambe queste opzioni presentano i vantaggi e gli svantaggi tipici del capitalismo «meritocratico» americano: da un lato viene posto uno sbarramento basato sul reddito, e dall'altro si fornisce una possibilità di riuscita a chi ha la capacità e la volontà di impegnarsi. Di impegnarsi, s'intende, molto più di coloro che sono già ricchi in partenza: solo così è possibile tentare di superare l'enorme ostacolo rappresentato da una condizione economica disagiata.

21 novembre 2011

«Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega 2011» di Nicola D’Ugo


Edoardo Nesi,
Storia della mia gente,
Bompiani, Milano 2010.
168 pp. EUR 14.00
Lo scorso 7 luglio è stato assegnato ad Edoardo Nesi, per Storia della mia gente, il Premio Strega 2011. Nesi ha ottenuto un ampio consenso di voti (138), quasi raddoppiando quelli ricevuti dal secondo e terzo concorrente, Mariapia Veladiano con La vita accanto e Bruno Arpaia con Energia del vuoto, rispettivamente attestatisi a 74 e 73 voti. Hanno chiuso la cinquina dei finalisti Mario Desiati con Ternitti e Luciana Castellina con La scoperta del mondo, che hanno ottenuto rispettivamente 63 e 45 voti. Era la seconda volta che Nesi partecipava alla finale dello Strega, e la seconda in cui era arrivato primo nella selezione dei finalisti, poi perdendo la finalissima nel 2005.

Storia della mia gente è un breve romanzo autobiografico, che racconta le problematiche che hanno portato alla chiusura di numerose industrie tessili del pratese. Non si tratta di un romanzo di ricostruzione storico-realistica, ma di una sorta di narrazione saggistica accompagnata da accenti elegiaci, i quali conferiscono alla narrazione il loro carattere di sfogo coniugato ad un giusto impegno civile. E questo, senza dubbi, è un merito non da poco per la letteratura, a prescindere dalla condivisione o meno delle idee di Nesi.

23 ottobre 2011

«Conversazione con Umberto Piersanti» di Doriano Fasoli


Umberto Piersanti
Doriano Fasoli: Tra alberi e vicende è la sua ultima raccolta poetica pubblicata per Archinto. Cosa suggerisce questo titolo?

Umberto Piersanti: Tra alberi e vicende è il mio libro più recente, ma anche il più antico, in quanto raccoglie tutte le pubblicazioni precedenti la trilogia einaudiana. Gli alberi indicano il mio amore totale ed assoluto per la natura: essere un poeta di natura non vuol dire nominare qualche fiore o qualche pianta. Tranne pochissimi metropolitani, lo fanno quasi tutti gli autori. Essere un poeta di natura significa buttare la testa tra l'erba, percepire suoni, odori, rumori, vivere insomma il mondo attraverso la specula della natura. La mia poesia ha sempre mantenuto questa costante. Non c'è in me, però, alcuna connotazione ecologica e poca volontà di contestazione verso il presente. Dunque non contrappongo una natura intatta ed un integro ed autentico mondo contadino all'inautenticità del presente alla maniera di un Olmi o di un Pasolini. È la memoria che rintraccia la natura e la vita di un tempo. La mia natura conosce anche l'oscurità e il dolore: qualcuno ha parlato giustamente di «Arcadia d'ombra». Le vicende indicano il mio feroce attaccamento al reale e alla vita come ha giustamente sottolineato fin dall'inizio Carlo Bo. Il reale di cui parlo c’entra poco con il neorealismo o dimensioni affini: reale è anche la fantasia più sconvolta, il pensiero più segreto, lo spessore impalpabile dell'aria.

16 ottobre 2011

«Margaret Atwood, 'Dare e avere. Il debito e il lato oscuro della ricchezza'» di Nicola D'Ugo


Margaret Atwood,
Dare e avere. Il debito e
il lato oscuro della richezza
,
Ponte alle Grazie, Milano 2009.
230 pp.
EUR 16.00
In queste anni bui per l’economia globale accentuati dai recenti rischi di default dei paesi maggiormente industrializzati, suggerisco di leggere un manuale classico che ne introduca le tematiche: Economia di Paul A. Samuelson, giunto alla diciannovesima edizione aggiornata da William D. Nordhaus e risistemata per il lettore italiano da Carlo A. Bollino. Per quel che riguarda la questione del debito e della sostenibilità dei sistemi economici in termini culturali – un campo a me più familiare – non posso che suggerire la lettura di Dare e avere. Il debito e il lato oscuro della ricchezza di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie, Milano 2009), uscito nel 2008, a ridosso della bancarotta della Lehman Brothers che ha dato origine all’attuale recessione economica globale.

Si tratta d’uno studio comparativo, sulla scorta di James George Frazer ma di minor finalità ed ampiezza, dedicato al significato psicologico, economico e simbolico del ‘debito’. La traduzione italiana del titolo è un po’ fuorviante: avrebbe dovuto semmai suonare «avere e dare», visto che quello inglese, Payback, ‘riscossione’, si riferisce alla restituzione di quel che il debitore ha avuto in prestito.

18 giugno 2011

«'Bestie' di Joyce Carol Oates» di Nicola D'Ugo


Joyce Carol Oates,
Beasts,
Carroll & Graf, New York 2002.
138 pp. USD 15.95
Non ho letto la traduzione italiana di Bestie di Joyce Carol Oates, edita da Mondadori nel 2002 e, in formato tascabile, nel 2004. Ho letto l’edizione originale, pubblicata da Carroll & Graf nel 2002 col titolo Beasts. Si tratta d’una novella ambientata prevalentemente negli anni Settanta, in cui viene raccontata la disavventura amorosa di Gillian Brauer, una studentessa universitaria invaghitasi del suo docente.

L'approccio di Oates è quello d'un femminismo duro, per il quale il professor Andre Harrow e la moglie Dorcas rappresentano quanto di più subdolamente affascinate e lesivo vi sia nei confronti delle studentesse del college. 

Bestie è una novella cupa, dolorosa, in cui la vendetta finale di Gillian ha la meglio su una concezione patriarcale della donna. È scritta benissimo, con grande fluidità e un linguaggio adeguato ad esprimere il grigiore e le angosce della protagonista, ma non ha un grande spessore riflessivo. Non certo per la sua brevità, ma per l'aggressività spicciola, quasi scontata, con cui Gillian uccide i coniugi Harrow, incendiando la loro casa.