14 novembre 2014

«Dialogo con Mario Bortolotto» di Doriano Fasoli

 

 

 

 

L'amato Duke Ellington e la passione giovanile per il jazz; il suono di Arturo Benedetti Michelangeli, «d'una bellezza unica e sconvolgente»; il Don Giovanni mozartiano e la «deliziosa» lettura che ne ha dato Giovanni Macchia («credo che lui e Mario Praz, il famoso anglista dell'Università di Roma, scomparso abbastanza di recente, siano innegabilmente gli ultimi esempi di cultura universale»); ‘Cesarino’ Brandi, amante della buona cucina quanto della buona prosa; Simone Weil e Bruno Walter; Musil e Conrad, tra gli scrittori prediletti; l'ineguagliabile senso della forma di Cristina Campo e le pagine memorabili da lei dedicate a Chopin ne Il flauto e il tappeto: è il mondo di Mario Bortolotto, che ha consegnato alla letteratura musicale – quale critico e storico, raffinatissimo – studi eccellenti, tra cui ricordiamo: Introduzione al Lied romantico (pubblicato presso Ricordi nel '62 e ristampato, in versione riveduta e ampliata, da Adelphi, nel 1984); Fase seconda (Einaudi, 1969), testo ‘militante’, di riflessione sull'avanguardia musicale degli anni Sessanta; Consacrazione della casa (Adelphi, 1982), indagine sul teatro lirico articolata in una costellazione di undici saggi.

«In Italia ritengo ci siano almeno sei o sette compositori nuovi, gente molto giovane che ha certamente qualcosa da dire. A parte che abbiamo sempre quegli autor fra i sessanta e i settant'anni, a tutt'oggi considerati fra i più interessanti che ci siano al mondo. Basti il nome di Franco Donatoni,» dice Bortolotto, che vive a Roma ed ha appena pubblicato (ancora per Adelphi) un libro sulle origini francesi del Novecento musicale, Dopo una battaglia (vincitore della prima edizione del Premio Amici di Santa Cecilia: Un libro per la musica).

Doriano Fasoli: E allora come spiega che in Italia un programma di musica contemporanea fa la sala vuota? È un fatto da attribuire semplicemente ad una cattiva organizzazione? E perché un articolo riguardante i musicisti italiani viventi non si scrive praticamente più (neppure le riviste specializzate ne parlano ormai tanto spesso), mentre ad esempio in Francia, dove c'è un pubblico estremamente attento e comprensivo che segue addirittura entusiasticamente le vicende della musica in fieri, basta un concerto di Boulez per far scatenare la stampa, che arriva a dedicargli intere colonne…

Mario Bortolotto: Perché il nostro è un paese tremendamente paesano, di un provincialismo inveterato, insofferente a qualsiasi novità. Lo si vede tranquillamente. Una signora di Parigi che si rispetti mai si sognerebbe di perdere (se non altro per snobismo, per un pizzico di vanità sociale) una prima di un compositore importante. In Italia ne ignorerebbero perfino l'esistenza, perché è il teatro di terz'ordine che piace, l'opera. Le signore di Milano non si lascerebbero sfuggire tutt'al più un Rigoletto, ma di un pezzo di Aldo Clementi, di Berio o Donatoni non gliene importa proprio nulla.

Altrove dunque si riscontra quasi sempre una maggiore efficienza organizzativa: le sembra lodevole, ad esempio, l'esperienza dell'Ircam diretto da Boulez (al Centre Pompidou di Parigi), con quella sua salle modulable, dove durante un'esecuzione si può ottenere la modificazione del suono attraverso una modifica della scala, alle cui pareti tutti quei pannelli che si muovono permettono, appunto, di cambiare l'acustica?

L'Ircam è stata una proposta straordinaria: lì infatti si fanno delle ricerche sul suolo, delle ricerche elettroacustiche e questo dà sicuramente i suoi vantaggi. Ma si pensi anche a un paese come la Spagna, fino a venti anni fa praticamente inesistente (o quasi) sulla mappa della musica nuova: oggi, invece, può vantare un'organizzazione di primissimo ordine. Ha un festival, che si svolge ogni anno ad Alicante (nel sud della Spagna), dove partecipano studiosi, osservatori, critici di tutto il mondo e dove si eseguono regolarmente le composizioni delle nuovissime leve. Tenga presente che anche a Madrid, in un centro d'arte che si chiama Reina Sofía (sotto il patrocinio della regina Sofia) ogni settimana si fa un concerto di musica contemporanea. Io ricevo puntualmente i programmi e posso constatare che si tengono sempre molto informati, mentre in Italia l'informazione comincia ad essere scarsissima e di alcune cose è addirittura nulla. Nel passato, almeno per un certo periodo, anche il nostro paese si è mostrato più vigile: le Biennali di Venezia ad esempio funzionavano meravigliosamente; i festival di musica nuova di Palermo sono stati per alcuni anni un punto di riferimento obbligato. Poi tutto si è andato via via sfilacciando; e oggi è già tanto se Venezia riesce a fare una settimana di qualcosa riempiendola con composizioni del passato, con retrospettive… L'anno scorso si è svolto un festival interamente dedicato a Nono, compositore indubbiamente rispettabile, ma morto. Preferiremmo sentire i vivi.